Legge 104, trasferimento di sede legittimo, ecco cosa c’è da sapere

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La Corte di Cassazione è tornata di recente a pronunciarsi sulla Legge 104, chiarendo i limiti ai trasferimenti dei dipendenti che ne usufruiscono. Sono legittimi solo in certi casi, altrimenti i lavoratori che rifiutano non possono essere licenziati.

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Legge 104, la Corte di Cassazione condanna i licenziamenti illegittimi

La Legge 104 del 1992 continua a dividere l’Italia tra usi e abusi in molti settori, da parte sia dei lavoratori sia delle aziende. Con la sentenza 24015/2017 però i giudici di Piazza Cavour hanno stabilito i limiti per i trasferimenti dei dipendenti che usufruiscono dei permessi previsti dalla normativa per assistere i propri familiari disabili.

I lavoratori che sfruttano i permessi della Legge 104 per assistere i familiari con handicap non possono essere trasferiti in maniera unilaterale da una sede aziendale all’altra, magari addirittura in una sede all’estero, se tali trasferimenti hanno un mero carattere geografico e non sono determinati dallo spostamento a una differente unità produttiva. Nel caso in cui si rifiutino, il licenziamento da parte del datore di lavoro è illegittimo e i lavoratori devono essere reintegrati.

Proteggere i lavoratori per tutelare i congiunti disabili

La Suprema Corte ha chiarito che, per valutare i trasferimenti dei dipendenti che usufruiscono dei permessi della Legge 104, non è sufficiente richiamare il concetto di unità produttiva in base all’articolo 2103 del Codice Civile. Per fare scattare il divieto basta semplicemente che cambi il luogo geografico di svolgimento dell’attività lavorativa.

La recente sentenza conferma a vantaggio dei lavoratori uno speciale regime di protezione che mira principalmente a tutelare i diritti dei loro congiunti, spesso malati e anche anziani. In tal modo i familiari possono continuare a ricevere assistenza secondo quanto previsto dalla Costituzione Italiana, nonché dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 2006. Le ultime due infatti salvaguardano rispettivamente gli interventi per l’inserimento sociale e la protezione dei disabili.

Sì ai trasferimenti, ma solo per comprovate esigenze aziendali

La sentenza della Cassazione sancisce che “il trasferimento del lavoratore legittima il rifiuto del dipendente che ha diritto alla tutela di cui all’art.33 c.5 della Legge 104 del 1992 di assumere servizio nella sede diversa cui sia stato destinato ove il trasferimento sia idoneo a pregiudicare gli interessi di assistenza familiare del dipendente e ove il datore di lavoro non provi che il trasferimento è stato disposto per effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive insuscettibili di essere diversamente soddisfatte“.

Questa ipotesi può essere contemplata esclusivamente in presenza di chiare e comprovate esigenze aziendali, sia di carattere tecnico-organizzativo che produttivo. I datori di lavoro che impongono unilateralmente i trasferimenti ai propri dipendenti possono farlo in maniera legittima solo in casi estremi.

Hanno però l’onere di dimostrare in maniera chiara che esistono davvero tali esigenze e soprattutto che non ci sono altre valide alternative per soddisfarle. Una cosa piuttosto rara e difficile da provare davanti ai lavoratori, figuriamoci dinanzi ai giudici della Suprema Corte.

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